
LUCA WARD: AVEVAMO SOLTANTO 5000 LIRE NEL PORTAFOGLIO
- Redazione

- 31 ott
- Tempo di lettura: 3 min

Una vita tra voce, teatro e sacrifici
Luca Ward è tra i volti e soprattutto le voci più riconoscibili del doppiaggio e dello spettacolo italiano: nato a Roma il 31 marzo 1956, figlio d’arte (il padre Aleardo Ward era attore), ha costruito una carriera lunga e poliedrica tra cinema, teatro, tv e soprattutto audio-doppiaggio, prestando la voce a star internazionali come Russell Crowe, Samuel L. Jackson, Pierce Brosnan. 
Ma ciò che colpisce del suo racconto è il periodo difficile che ha vissuto prima del successo, un “periodo buono senza soldi” se vogliamo definirlo così — ossia un tempo in cui la normalità era fatta di lavori umili, responsabilità familiari, difficoltà economiche.
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Il momento della svolta: la perdita del padre e l’indigenza
Ward ha ricordato che la morte prematura del padre lo ha portato, da adolescente, ad assumersi responsabilità importanti: aveva circa 13-14 anni quando Aleardo Ward morì per aneurisma, lasciando la famiglia in difficoltà economica. 
In un’intervista ha raccontato:
“Quando mio padre morì, avevamo solo 5.000 lire nel portafoglio.” 
Questo momento gli ha fatto capire da subito che “nessuno ti regala niente” e che anche chi ha un sogno – come lui quello di fare l’attore/doppiatore – deve prepararsi al sacrificio. 
E infatti:
“Ho fatto il benzinaio, il camionista, perfino il venditore di bibite: ho cercato di fare tutto al meglio…” 
Questi lavori “di sopravvivenza” sono la parte spesso invisibile del “periodo buono senza soldi”: non che fosse buono nel senso di semplice, ma buono in quanto “formativo”, nella misura in cui ha forgiato il carattere e la carriera.
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Cosa insegnano quegli anni
1. Umiltà e lavoro – Ward evidenzia che la sua carriera non è nata dalla fortuna immediata, ma da una progressione che include lavori “normali” e non glamour. 
2. Resilienza – Affrontare una perdita familiare e un vuoto economico così forte da giovani è stato uno spartiacque, che lo ha messo davanti alla necessità di agire.
3. Talent-work dichotomy – Nel suo libro autobiografico Il talento di essere nessuno, racconta proprio che il talento (la voce, la predisposizione scenica) non è sufficiente: ci vuole il lavoro, la costanza, la scelta. 
4. Normalità dietro il successo – Ward vuole anche smentire l’idea che fare il suo mestiere significhi automaticamente avere vita agiata e senza difficoltà: “Spesso si pensa che chi fa il mio mestiere sia necessariamente un vincente… ma non per tutti è così. Siamo persone normali.” 
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Il “periodo senza soldi” come passo verso il “buono”
Quando parlo di “periodo buono senza soldi” intendo questo: per Ward quel tempo – pur segnato dalla difficoltà economica – è stato “buono” nel senso che ha posto le basi del suo successo, ne ha definito i valori. Le difficoltà non sono state solo ostacolo, ma palestra.
In queste vicende troviamo spunto per riflettere su quanto la mancanza di risorse possa spingere a riscoprire altre risorse: capacità personali, forza di volontà, relazione familiare, determinazione.
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Conclusione
Luca Ward è oggi un professionista affermato, ma dietro la sua voce iconica c’è un ragazzo che ha cominciato a lavorare presto, che ha visto la famiglia in crisi, che ha toccato la condizione della “normalità stretta”. E in questo sta l’importanza del suo racconto: non come “successo da favola”, ma come storia di dedizione, cadute, rialzate.
Redazione




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