
PALO RUFFINI: DIN DON DOWN ALLA RICERCA DI (D)io
- Redazione

- 23 ott
- Tempo di lettura: 2 min

“Din Don Down – Alla ricerca di (D)io” è un nuovo spettacolo teatrale ideato da Ruffini insieme alla Compagnia Mayor von Frinzius, prodotto da Vera Produzione, diretto da Lamberto Giannini con coordinamento artistico di Rachele Casali e musica dal vivo della pianista Claudia Campolongo.
Tematica e stile
Dopo il successo di Up&Down, in cui si esplorava il tema dell’amore, Din Don Down sposta l’attenzione su una questione più profonda: il divino, la ricerca di Dio o del “D(io)” tra parentesi.
Lo spettacolo viene descritto come un “happening comico, senza regole”, che «sovverte il senso più profondo di ciò che ci ostiniamo a definire “normale”».
Al centro ci sono gli attori con disabilità insieme a Ruffini, che non li “mette in mostra” come protagonisti di pietismo, ma come soggetti che interagiscono, improvvisano, dominano la scena. Ruffini in un’intervista afferma:
«Gli attori fanno i provini come tutti. Non c’è pietismo. Lavoro con loro come lavorerei con chiunque altro».
Impatto e ricezione
Lo spettacolo ha riscosso grande attenzione: va in scena in molti teatri italiani, tra cui il prestigioso Teatro degli Arcimboldi di Milano con date nel 2025.
Secondo l’articolo dell’ANSA, Ruffini parla di «risposte molto più interessanti, lapidarie, dense» da parte dei ragazzi con sindrome di Down rispetto all’idea tradizionale del “parlare di Dio”.
Perché è importante
• Rompe il tabù della rappresentazione della disabilità: non è un “racconto sulla disabilità”, ma «un tentativo di guardare il mondo da un’altra angolazione».
• Unisce comicità, teatro e riflessione filosofica/spirituale: la leggerezza non toglie profondità.
• Fa riflettere sul linguaggio: su cosa significa “normalità”, “divino”, “inclusione”.
• È un segnale culturale che unisce intrattenimento e impegno sociale.
Considerazioni finali
Paolo Ruffini con Din Don Down mostra come il teatro contemporaneo possa essere un motore di cambiamento: non solo divertimento, ma anche interrogazione. Lo spettacolo parla a tutti — non solo a chi ha a cuore la disabilità — perché invita a considerare la diversità come risorsa e ridefinisce la “normalità”.
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