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PREGHIERA E PAURA: MARCO MI RACCONTA LA SUA STORIA

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 31 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

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“Mi hanno tolto la voce”: la testimonianza di Marco, ex seminarista sopravvissuto agli abusi

Aveva solo sedici anni quando varcò il portone di un seminario del Nord Italia, pieno di entusiasmo e di fede. “Pensavo che Dio mi chiamasse a servirlo”, racconta Marco,oggi quarantenne, con la voce ferma ma gli occhi che tradiscono ancora la fatica del ricordo.

Quella che doveva essere un’esperienza di formazione spirituale si trasformò, invece, in un incubo di silenzio, manipolazione e violenza.

L’ingresso in seminario

“Venivo da una famiglia molto religiosa,” ricorda. “Quando il parroco mi propose il seminario, mi sembrò un onore. All’inizio era tutto bello: lo studio, la preghiera, il senso di comunità. Poi, lentamente, qualcosa cambiò.”

I primi segnali furono piccoli: attenzioni eccessive da parte di un sacerdote educatore, carezze giustificate come “gesti affettuosi”, incontri serali “di confidenza spirituale” che si prolungavano troppo.

“Ti sentivi scelto, speciale,” dice Marco. “E quando qualcosa ti metteva a disagio, pensavi che il problema fossi tu, che non eri abbastanza puro o devoto.”

La violenza e il silenzio

L’abuso arrivò poco dopo, in una notte d’inverno. “Mi disse che era un rito di purificazione, che serviva a farmi crescere nella fede. Avevo paura, ma non capivo davvero cosa stesse succedendo.”

Il giorno dopo, nessuno parlò. “Nel seminario tutti sapevano. O facevano finta di non vedere. Io smisi di parlare, di mangiare, di pregare. Mi chiudevo in camera a piangere. Ma se dicevi qualcosa, ti accusavano di essere tentato dal demonio.”

Marco lasciò il seminario a diciott’anni, “con la sensazione di essere sporco”. Per anni non riuscì a entrare in una chiesa. “Avevo perso Dio e me stesso.”

Lungo cammino verso la denuncia

Solo molti anni dopo, durante un percorso di terapia, trovò il coraggio di denunciare. “Non lo feci per vendetta, ma perché non volevo che altri ragazzi subissero ciò che avevo subito io.”

La sua denuncia è ora parte di un’inchiesta più ampia su abusi in ambienti religiosi. “Il dolore non sparisce, ma parlarne è l’unico modo per non esserne più prigioniero.”

Secondo i dati pubblicati dalla Commissione indipendente sugli abusi nella Chiesa italiana (CIACI), più di 600 segnalazioni di violenze o molestie sono emerse negli ultimi anni, spesso relative a fatti avvenuti decenni fa e coperti da un muro di omertà.

Molti dei casi riguardano seminari minori, luoghi di formazione spirituale dove ragazzi di 13-18 anni vivevano sotto totale controllo delle autorità ecclesiastiche.

“Non odio la Chiesa, ma voglio verità”

Oggi Marco lavora come educatore sociale. Ha ricostruito la sua vita, ma porta ancora dentro una ferita profonda.

“Non odio la Chiesa,” dice. “Ma voglio che si smetta di proteggere chi ha distrutto la vita degli altri. La fede non può essere una coperta per nascondere la violenza.”

Quando gli chiedo se ha ritrovato Dio, sorride amaramente: “Non il Dio che mi avevano insegnato, quello del castigo e della vergogna. Ma un Dio che piange con me. E quello sì, lo sento vicino.

Il peso del silenzio

Le parole di Marco si inseriscono in un dibattito che scuote la Chiesa da anni. Papa Francesco ha più volte chiesto “tolleranza zero” e trasparenza, ma molte vittime denunciano ancora la difficoltà di essere ascoltate.

Il rischio più grande, spiega la psicologa e criminologa Dott.ssa Lucia F., “è che il trauma venga doppiamente inflitto: prima con la violenza, poi con l’indifferenza.”

Ogni storia come quella di Marco non è solo un caso individuale, ma una ferita collettiva, che interroga la coscienza di un’intera istituzione.

Mentre ci congediamo, Marco lascia una frase che racchiude il senso della sua battaglia:

“Non chiedo risarcimenti o scuse. Chiedo che si dica la verità. Perché il male cresce nel silenzio, e io nel silenzio ci ho quasi perso la vita.”


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