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ARISA IL SUO SFOGO SU FACEBOOK CONTRO LA VIOLENZA VERBALE

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 28 nov
  • Tempo di lettura: 3 min
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ARISA: “TI PUBBLICO, COSÌ T’IMPARI” – IL CORAGGIO DI DIRE BASTA ALLA VIOLENZA VERBALE


Ci sono momenti in cui una voce decide di non tremare più.

Momenti in cui una donna smette di chinare il capo e sceglie di guardare in faccia chi la ferisce.

È quello che ha fatto Arisa, in un giorno simbolico come il 25 novembre, la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Una giornata che, purtroppo, ogni anno si riempie di retorica e di frasi fatte, mentre fuori dagli schermi si continua a esercitare una violenza silenziosa ma devastante: quella verbale.


Arisa rompe il silenzio pubblicando nomi, cognomi e fotografie dei suoi hater.

E lo fa dopo aver ricevuto insulti come:

«Puoi fare l’attrice porno, si vede che ti piace»

«Volgarotta da quattro soldi»

«Brutta era e brutta è rimasta nonostante i ritocchi»


Non screenshot anonimi, non frasi oscurate.

Volti, identità, responsabilità.

Un gesto forte, radicale, che divide ma che, ancora una volta, ci sbatte in faccia il problema: la violenza di genere nasce anche dalle parole.


Arisa parla chiaro, senza giri di parole:

“Sono davvero brutte le cose che scrivete, ma ancora più brutto è che voi le pensiate.”


È la radice del problema: la convinzione di avere il diritto di giudicare, offendere, demolire una donna perché non rispecchia un ideale, perché si espone, perché si mostra, perché vive liberamente il proprio corpo.


La cantante fa un paragone che colpisce come uno schiaffo:

chi crede di avere il diritto di insultare una donna perché “se l’è cercata”

è lo stesso che, con la stessa logica criminale, giustifica la violenza fisica su una donna in minigonna.


La dinamica è la stessa:

colpevolizzare la vittima per giustificare l’aggressione.


È questo il meccanismo che Arisa denuncia con fermezza.


Tra gli hater, molti sono uomini.

Ma ciò che colpisce Arisa — e che colpisce tutti noi — è che alcuni insulti arrivano da altre donne.

Donne che insultano altre donne per il corpo, per la libertà, per la sensualità, per la scelta di mostrarsi.


“Il fatto che alcune delle offese provengano da donne come me mi dice che siamo messe male.”


È un cortocircuito sociale che fa male:

le stesse che dovrebbero essere alleate diventano carnefici.

L’esempio più evidente di quanto la cultura del giudizio, del controllo e della vergogna sul corpo femminile sia radicata, interiorizzata, normalizzata.


Perché pubblicare nomi e foto degli hater?

Non è vendetta.

Non è gogna.

È responsabilità.


Arisa lo spiega con la sua consueta lucidità:

“Peccato, la strada per la libertà è ancora lunga… Intanto tu m’insulti e io ti pubblico: così t’impari!”


In un mondo in cui gli insulti si nascondono dietro schermi e profili fake,

la cantante decide di fare ciò che quasi nessuno fa:

restituire un volto alla violenza.


Non per umiliare, ma per mostrare.

Mostrare cosa significa essere una donna sui social.

Mostrare cosa deve affrontare chiunque osi essere libera, diversa, non conforme.


Mostrare che la violenza è reale, non virtuale.

E che le parole possono colpire quanto un pugno.


Il gesto di Arisa apre una riflessione centrale:

fino a che punto tolleriamo la violenza verbale considerandola “normale”?

Quante donne vengono giudicate, insultate, demolite per il loro corpo, il loro modo di vestirsi, di ballare, di vivere?

Quante rinunciano a mostrarsi, a esprimersi, a essere sé stesse per paura del linciaggio digitale?


La domanda che ci consegna Arisa è semplice e gigantesca:


Quando smetteremo di considerare accettabile ciò che è violenza?


Il messaggio: la libertà non si chiede, si esercita:


Le sue parole non sono sfogo, ma consapevolezza.


La libertà di una donna non è mai automatica:

va difesa, protetta, affermata ogni giorno.

E soprattutto va insegnata.

Perché la libertà degli uni non può mai essere l’alibi della violenza degli altri.


Arisa lo ricorda a tutti:

la libertà non è un vestito, non è una posa, non è un post.

La libertà è un diritto.

E nessun insulto ha il potere di cancellarlo.


Conclusione: la dignità non si discute


Il gesto di Arisa divide, certo.

Ma è proprio in questa divisione che si nasconde il vero nodo:

viviamo in un Paese dove il corpo delle donne è ancora giudicato, controllato, punito.

Un Paese dove la violenza verbale è considerata “opinione”.

Un Paese dove troppe donne vengono zittite dal sarcasmo, dall’odio, dall’umiliazione.


Arisa non accetta più.

E non dovrebbero farlo nemmeno le altre.


In un giorno dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne,

ha scelto di restituire dignità a quella battaglia.

Di dire basta.

Di mostrarsi forte e vulnerabile allo stesso tempo.


Perché — lo ricorda lei stessa —

la strada per la libertà è lunga.


Ma quel giorno, per un momento,

grazie al suo coraggio,

abbiamo capito tutti in quale direzione dobbiamo andare.


Dal web Facebook pagina La sensibilità dell’anima

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